L’horror vacui dell’Intelligenza Artificiale: perché l’IA non sa tacere
Se usi spesso l’intelligenza artificiale, ti sarà capitato: fai una domanda, chiedi un testo o un’analisi, e lei ti risponde con sicurezza assoluta. Tutto sembra credibile, ben scritto, perfino elegante… e poi scopri che non corrisponde alla realtà.
Molti credono che sia un errore misterioso o un bug nascosto. In realtà è qualcosa di molto semplice: quando incontra un vuoto, l’IA lo riempie.
È l’horror vacui del XXI secolo. E se non ti è chiaro questo meccanismo, rischi di confondere la fluidità con la verità.
L’IA nasce per generare, non per insegnare
Modelli come ChatGPT, Claude, Gemini sono strumenti statistici che imparano osservando come le parole compaiono insieme. Non ragionano sui concetti, non hanno ricordi, non possiedono una mappa interna del mondo. Ci lavorano sopra come un musicista che suona a orecchio: seguono pattern, simmetrie, probabilità.
Quando rispondono a una domanda, non richiamano una verità, un ricordo, ma stimano la sequenza di parole più probabile che dovrebbe comparire dopo quel prompt.
In pratica, seguono briciole di pane statistiche, come Pollicino; non insegnano verità, ma generano plausibilità.
Un esempio celebre aiuta a chiarire questo meccanismo: la Stanza Cinese, un esperimento filosofico ideato già nel 1980.
Immagina una persona chiusa in una stanza che non conosce il cinese ma dispone di un manuale pieno di regole. Ogni volta che le arriva un simbolo, consulta le istruzioni e restituisce il simbolo corretto. Dall’esterno sembra parlare cinese, ma in realtà sta solo applicando regole formali.
Ecco: le IA funzionano in modo molto simile.
Addestramento vs. studio
Tutto ciò che un modello può produrre deriva dal suo addestramento. Non osserva il mondo, non si aggiorna da solo, non può “andare a controllare”. Se gli manca un dato, continua comunque a generare. Non conosce il concetto di “assenza di conoscenza”. Il suo compito è proseguire la frase.
Così, se incontra un vuoto, lo riempie.
Se non trova un riferimento, lo costruisce.
Se la strada è interrotta, immagina un ponte.
È un impulso strutturale: deve seguire una strada fino in fondo, a costo di costruire i collegamenti o le scorciatoie che le servono.
Le parole guidano il percorso dell’IA
C’è un altro punto importante: ogni parola del prompt influenza la risposta. L’IA non distingue davvero tra registro tecnico, tono poetico o metafora.
Se chiedi:
“Scrivimi uno script PowerShell rapace come un’aquila che plana su una lepre per attivare la biometria”
lei prende sul serio rapace, aquila, lepre e li usa per dare forma al testo. Non riconosce necessariamente l’ironia o l’immagine giocosa. Il risultato può essere uno script meno corretto tecnicamente, ma raccontato con un tono epico, quasi cinematografico.
In altre situazioni succede il contrario: prende una metafora come un fatto letterale e si avvita in risposte bizzarre.
In sintesi: il modo in cui interroghi l’IA determina il modo in cui lei costruisce la risposta.
Le conseguenze dell’horror vacui
Questo meccanismo produce una serie di effetti prevedibili, che però suonano come errori marchiani o elucubrazioni imprevedibili ad uno sguardo superficiale:
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Allucinazioni: invenzioni di nomi, date, leggi, regole, fonti che non esistono.
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Overconfidence: tono sicuro anche quando la risposta è fragile o completamente falsa.
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Effetto competenza: la fluidità linguistica porta l’utente a credere che il contenuto sia accurato.
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Rischi reali: si possono prendere decisioni basandosi su informazioni errate.
Questi fenomeni fanno parte della natura dei modelli generativi, soprattutto quando vengono usati senza supervisione critica.
Come si affronta il problema: il grounding
Per ridurre queste distorsioni esistono tecniche che ancorano l’IA a informazioni verificate.
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RAG (Retrieval-Augmented Generation): prima si consultano documenti affidabili, poi si costruisce la risposta.
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Confidence scoring: il sistema valuta la sua sicurezza e può segnalare incertezza.
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Framework di “umiltà”: l’IA viene progettata per poter dire “non lo so”.
L’obiettivo è insegnarle che il silenzio, a volte, è più sensato di una risposta improvvisata.
IA generativa, non divulgativa.
L’IA generativa è uno strumento potente, e come tutti gli strumenti funziona al meglio solo se chi lo usa conosce le sue regole e i suoi limiti. Quando diciamo che l’IA inventa, stiamo solo descrivendo il suo funzionamento, non attribuendole una colpa. Anzi è la normalizzazione statistica di un comportamento che, a prima vista, sembra esoterico.
Un martello non è pericoloso se sai dove e come colpire. E non ti ferisce se sai che può farti male. Allo stesso modo, un’IA generativa non è inaffidabile: semplicemente non può sostituire il pensiero critico di chi la interroga.
Se conosci i suoi punti deboli, se sai che può colmare i vuoti con invenzioni plausibili, allora puoi prevenire gli errori e ottenere un alleato straordinario: capace di ampliare prospettive, velocizzare analisi, sviluppare idee.
Ma se ti limiti a copiare ciò che produce senza verificarlo, rischi di imparare cose sbagliate, pubblicare contenuti superficiali o inesatti perdendo autorevolezza.
O, peggio ancora, prendere decisioni su premesse errate.
E in quel caso, non è colpa della macchina, ma della fiducia cieca che le hai concesso.
Un piccolo (ma importante) disclaimer
Nessuna decisione, personale o professionale, in ambiti in cui non sei esperto dovrebbe essere presa solo consultando un’IA.
Se trovi informazioni che ti sembrano verosimili, fai sempre il passaggio di chiedere conferma a un esperto: magari ti fattura mezz’ora invece di tre perché la tua domanda è più articolata e precisa, ma ti offre una valutazione che la tecnologia attuale non è (ancora?) in grado di fornire.
Se non hai modo di farlo, almeno prenditi il tempo per qualche verifica incrociata: controlla le fonti, confronta modelli diversi, cerca conferme indipendenti. È il minimo per ridurre il rischio di dare per buona un’invenzione ben scritta.
Sul piano aziendale, poi, ricorda un principio semplice ma spesso dimenticato: un’IA che parla al pubblico parla a nome dell’azienda.
Quello che scrive, anche se generato automaticamente, è una comunicazione ufficiale. Potenzialmente anche se, come accadde ad Air Canada, inventa una regola interna che non esiste o un prezzo di listino.
La sostanza della forma
L’Intelligenza Artificiale generativa non teme l’errore, teme il vuoto. Dove le manca il sapere, non tace: sogna.
E i suoi sogni, scritti in linguaggio umano, ci ingannano perché suonano tremendamente veri.
Ma se lo sappiamo, ci accorgiamo che non è un limite: è la chiave per usarla bene.
Perché l’IA non è un oracolo, è uno specchio linguistico della nostra curiosità.
E come ogni specchio, riflette solo ciò che noi stessi sappiamo guardare.